Gli ultimi istanti dell’intervista di David Frost a Richard Nixon sono segnati dal primo piano dell’ex-presidente americano; il suo volto è gravato dal peso della sconfitta, della solitudine, dall’orrore di se stesso. Quello che nel film Jim Reston definirà «il potere riduttivo del primo piano» riesce a scavare a fondo nell’immagine dei protagonisti. Il movimento del primo piano è duplice: riduce l’immagine di un uomo ad un fotogramma ma riesce grazie proprio a quel fotogramma ad renderne manifesta ciò che si cela dietro quel fotogramma che con un’espressione un po’ abusata potremmo indicare con il termine «mondo interiore».
Candidature agli Oscar a parte (tutte meritate), quello che qui interessa mettere in risalto de Frost/Nixon-il duello(2008), è la sua incredibile capacità di sondare il dietro le quinte dell’intervista del secolo. E per dietro le quinte qui si intende la precisa caratterizzazione degli elementi più propriamente psicologici dei due personaggi, quelli che poi faranno emergere i dissidi, i conflitti interiori dei protagonisti e che infine renderanno possibile che le vicende prendano la direzione che la storia ci ricorda.
L’intero racconto di Ron Howard (basato su uno script di Peter Morgan ) si muove attorno ad una sfida tra due contendenti: Frost (Michael Sheen) cerca la gloria, l’intervista più ardita, un maggiore riconoscimento da quanti lo ritengono solo un banale presentatore di Talk Show. Nixon (Frank Langella), presidente dimissionario sfiancato dal Wathergate, vuole tornare in auge come politico, e pensa di far leva sulla scarsa coscienza politica e intellettuale di Frost per ridare alla sua «immagine» davanti alle telecamere un tono presidenziale.
Due uomini che visti da vicino sembrano vivere all’ombra del proprio personaggio, che fremono per liberarsene, ognuno con motivazioni diverse. Frost soffre decisamente meno il proprio ruolo. Nixon ignora questa differenza e commette l’errore che diventerà la chiave di volta di tutta la parte finale del film. Si tratta dell’episodio della telefonata, dove un Nixon un po’ alticcio mostra incautamente a Frost il proprio lato debole.
Il lato debole dell’ex-presidente è anche quello più umano, e Frost farà leva su questa confessione (tra l’altro significativamente rimossa dallo stesso Nixon) per volgere a proprio favore l’intervista-duello. Il racconto ha l’incedere di un thriller (un po’ d’attenzione alla colonna sonora e quest’impressione potrà essere facilmente giustificata), appassiona incalzando e i minuti corrono via densissimi ma senza mai pesare. La preparazione, gli allenamenti, le ricerche della tecnica migliore. Un duello. I protagonisti lo vivono così. Botta e risposta, attacchi, difese, aggiramenti.
Howard dimostra grande abilità nel saper dosare perfettamente gli elementi che gli consentono di firmare un film molto ben riuscito. Non cede al pietismo ma non consente che l’immagine di Nixon ne esca troppo mortificata. Il riscatto che l’ex presidente non è riuscito ad ottenere con quell’intervista viene forse concessa un po’ di sottecchi dal regista. Anche questo fa del film di Howard una delle realizzazioni cinematografiche migliori del 2008.
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